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Process art

Rifiuto di ogni rigida struttura geometrica e seriale di tipo minimalista.

Utilizzazione dei materiali naturali e industriali più svariati per esaltare l’espressività primaria delle loro proprietà fisiche: peso, durezza, fragilità, leggerezza, morbidezza, elasticità, trasparenza, malleabilità, fluidità, luminosità, ecc.

Evidenziazione del processo di realizzazione dell’opera e delle sue possibili evoluzioni nel tempo.

Elaborazione di una processualità aperta, tesa alla sollecitazione di nuove esperienze sensoriali, ottenuta grazie a installazioni vitalmente immerse nella dimensione spazio-temporale.

Questi sono, in sintesi, i caratteri di fondo delle ricerche postminimaliste che negli StatiUniti prendono il nome di process art o anche anti-form. È una tendenza, per molti versi analoga e parallela all’arte povera europea e italiana, che si sviluppa a partire dal 1967-68.

Le principali mostre attraverso cui questa nuova modalità di fare arte si afferma si tengono a New York: Eccentric Abstraction (Fischbach Gallery, 1966), Anti Forni (John Gibson Gallery, 1968), Nine in the Warehouse (Leo Castelli, 1968).

I protagonisti della process art sono Robert Moriis, Bruce Nauman, Eva Hesse, Keith Sonnier, Barry Le Va, Alan Saret, William Bollinger, Richard Serra, Robert Smithson, più noto per il suo lavoro di land art.

Morris inizia nel 1967 a realizzare i Felt pieces, che sono un’evoluzione dei precedenti lavori minimalisti. Si tratta di grandi pezzi di feltro industriale che assumono una forma non predeterminata in relazione alle caratteristiche morbide dello stesso materiale e alle modalità di installazione basate sugli effetti della forza di gravità. L’artista sviluppa ulteriormente la sua idea di arte processuale (teorizzata nel 1967, con un importante scritto su "Artforum", nel 1968) con lavori che si configurano come vere e proprie installazioni ambientali caratterizzate dall’accumulazione informale di vari materiali sparsi in disordine

Installazioni analoghe, con elementi disposti a caso, vengono messe in scena già nel 1966 da Barry Le Va (Long Beach 1941), che due anni più tardi realizza anche lavori con lastre di vetro spezzate. Anche le operazioni di Alan Saret (1944) sono. connotate dal fascino della dispersione e delle configurazioni casuali: sono grovigli di fili (foto Hollow Mountain 1968) o trucioli metallici, reti metalliche distorte che occupano lo spazio espositivo. Le installazioni a muro di Keith Sonnier (Momou 1941), elaborate con estrema libertà dal 1968 in avanti, sono formate da strisce e pezzi pendenti di tessuto leggero, trasparente, fluttuante e talvolta anche attraversate da tubi al neon con guizzanti segni luminosi.

Di particolare significato è l’opera di Eva Hesse (1936 - 1970), che dal 1966 realizza lavori di forma fluida e incongrua, con valenze organiche ed erotiche, utilizzando materiali sintetici duri o molli (stampi di fiberglass, latex, plastica), reti, fili metallici, corde affidate al libero gioco della gravità.

La ricerca di Bruce Nauman (Fort Wayne 1941), tra i più geniali e imprevedibili artisti di questa generazione, si situa a cavallo tra processualità, concettualismo e performance. Dal 1966-67 in avanti si dedica a investigare la forma degli oggetti e gli aspetti fisici del corpo (il proprio) in rapporto con lo spazio, e le percezioni fisiche e sensoriali primarie in particolari contesti ambientali. Inoltre lavora anche sul linguaggio, con giochi di parole che innescano problematiche ambiguità di significati. I lavori di Nauman sono prodotti con le tecniche più diverse: calchi del corpo o di spazi occupati da oggetti (in gesso, cera, fibra di vetro); scritte al neon; video e foto che documentano performances dell’artista; costruzione di ambienti.

Le sculture di Richard Serra (San Francisco 1939), elaborate sfruttando le specifiche proprietà fisiche dei materiali (l’elasticità di cinghie e pezzi di gomma, la fluidità del piombo fuso, la malleabilità e il peso di fogli di piombo, il peso e l’ingombro di lastre di ferro) e la forza di gravità, per rischiose installazioni, si presentano invece come opere autosignificanti, attirando l’attenzione dello spettatore sul processo necessario alla loro realizzazione e sulle condizioni concrete, spaziali e temporali, di esistenza dell’artefatto.

In Europa hanno un carattere processuale, oltre alle esperienze dei protagonisti dell’arte povera, quelle di molti artisti tedeschi, olandesi e inglesi. Innanzitutto va citato, come precursore della process art, il tedesco Joseph Beuys (Kleve 1921 - Dùsseldorf 1986), in quanto molti dei suoi lavori e delle sue installazioni, realizzati con oggetti e materiali prelevati dal contesto reale, costituiscono il punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo di una ricerca di libero coinvolgimento dell’arte nella vita. Beuys utilizza, in particolare, elementi come il miele, il feltro, il rame, il grasso, la margarina e altro, da lui caricati di particolari valenze simboliche. Va comunque ricordato che la ricerca di Beuys ha aspetti molto complessi, legati al suo attivismo performativo.

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